“In questo momento storico, l’arrivo a Palermo di questi personaggi, importanti boss mafiosi, è un fatto deleterio. Seppure il ritorno sia solo per un periodo limitato. Perché è concreto il paventato rischio che Cosa nostra possa riorganizzarsi e la lotta alla mafia segni dei disastrosi e deleteri passi indietro. Allora, mi chiedo, e dovrebbero chiederselo anche altri colleghi che si sono occupati di mafia, a 32 anni dalle stragi mafiose non è davvero triste constatare che aria tira a Palermo? Mi viene da chiedermi se quelle morti, come quelle dei miei amici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, siano state inutili”. A parlare, in una intervista all’Adnkronos, è l’ex giudice Leonardo Guarnotta, che con Falcone e Borsellino costituì lo storico pool antimafia a Palermo. Guarnotta non nasconde la sua preoccupazione per il ritorno a Palermo, seppure per dei permessi premi, di boss del calibro di Ignazio Pullarà, 78 anni, storico reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù, condannato per mafia e per un omicidio, che ha ottenuto dal giudice di sorveglianza di Cuneo la possibilità di trascorrere due settimane a casa. Pullarà, secondo gli inquirenti, sarebbe uno degli uomini che custodirebbe i segreti dei soldi incassati da Marcello Dell’Utri. E Guarnotta era stato proprio il giudice che presiedeva il Tribunale che l’11 dicembre del 2004 condannò Dell’Utri a 9 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
Un permesso, quello per Pullarà, arrivato, come ha scritto nei giorni scorsi Repubblica, dopo quelli concessi ad altri boss come Paolo Alfano e Raffaele Galatolo. Dunque, Pullarà è il terzo boss a godere di un permesso premio.
“A me sembra, e non credo di sbagliarmi, che il rientro, definitivo o temporaneo, che sia di mafiosi come Pullarà o Galatolo, condannati a pene severissime e che, peraltro, non hanno mai collaborato con la giustizia, avvenga in un contesto temporale in cui la lotta alla mafia, qui a Palermo, abbia quasi fatto dei passi indietro- si sfoga il giudice Leonardo Guarnotta, oggi 83enne – Perché a Palermo, la stessa città che ha dato i natali a Falcone e Borsellino, parte della società non si fa scrupolo di convivere con personaggi che sono notoriamente vicini alla mafia. E ne è prova la recente tornata elettorale, dove dei condannati per mafia, hanno partecipato alla campagna senza che nessuno abbia alzato la voce, come se tutto fosse normale”.
‘Una cosa è se giudica un giudice siciliano, un’altra un collega di Cuneo’
Per l’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta la “concessione di benefici, di permessi premio, che poi mi chiedo ‘premio’ di cosa, è prevista dalla legge, è chiaro. Legge che consente di applicare questi benefici anche a imputati condannati all’ergastolo. La concessione di questi permessi premio sono stati dati sulla base di una sentenza della Corte costituzionale che risale al 2019. In un paese come il nostro, da tutti ritenuto la culla del diritto, anche la pena inflitta al più pericoloso criminale deve tendere alla sua rieducazione, come dispone il comma terzo dell’articolo 27 della Consulta. Però, il giudice che è deputato a concedere questi benefici, deve valutare se in concreto l’imputato può avere quel permesso”.
“Ho letto che a concedere il permesso sia stato il Tribunale di sorveglianza di Cuneo – dice ancora Guarnotta all’Adnkronos – ma io non so se il giudice piemontese abbia valutato queste condizioni. Una cosa è che giudichi un giudice siciliano, palermitano. Un’altra che giudichi un magistrato che non si è mai occupato di mafia”. E ricorda di quando alcuni processi di mafia si celebrarono non a Palermo ma, per legittima suspicione, in tribunali come Catanzaro o Bari.
“E le pene erano quasi sempre ridicole – dice l’ex magistrato- Ecco perché ci siamo sforzati che il maxiprocesso alla mafia si celebrasse a Palermo e non altrove, perché i giudici non siciliani non sono preparati a comprendere certi atteggiamenti, certi modi di parlare. Senza, naturalmente, volere sminuire la capacità di colleghi di Cuneo, sia chiaro”.
‘Per me Falcone e Borsellino erano come fratelli, un dolore la loro morte’
Ma come si fa a spiegare ai parenti di una vittima di mafia che dei boss mafiosi tornino, seppure per un permesso premio, nella propria città? “Non ci sono parole per spiegarlo – dice ancora Leonardo Guarnotta – il sacrificio di una vittima, e non so se questo può consolare il parente, è servito per giungere alla cattura dei responsabili e perché le forze di Polizia e la magistratura possano impegnarsi a fare in modo che questi fatti non si ripetano più. Io mi metto nei loro panni e capisco cosa possa significare questo. Per me la morte di Falcone e di Borsellino è stata terribile, come se mi avessero ucciso un parente, un fratello. Non c’è dubbio che questi provvedimenti premiali servano per potere approvare delle leggi che consentano a persone che hanno collaborato di approvare norme sempre più efficaci per contrastare questo fenomeno da troppo tempo”.
“E’ impensabile che Cosa nostra non possa avere una fine. Anche se quello che si avverte in questo momento non va, purtroppo, in questa direzione…”. (di Elvira Terranova/Adnkronos)
Nella foto, Il giudice Leonardo Guarnotta